I quadri clinici sono dunque complessi, ma per fortuna oltre alla ricerca scientifica che studia la malattia, le sue cause genetiche e le possibili terapie, ci sono anche delle associazioni che si occupano dei pazienti e delle loro famiglie. In Italia una di queste è l’Associazione NeuroFibromatosi (ANF) che nasce nel 1991, opera senza fini di lucro ed è formata da volontari che agiscono a favore delle persone affette da questa patologia. Per capire meglio quali sono le loro attività, abbiamo fatto qualche domanda a Valentina Salvo – responsabile della comunicazione e consigliera di ANF – che ci racconta come l’associazione sia stata fondata per “sostenere i pazienti portatori di questa condizione genetica e favorire la disseminazione delle informazioni e delle conoscenze relative alle neurofibromatosi. ANF organizza convegni, promuove collaborazioni mediche, diffonde informazioni e offre supporto ai malati e alle famiglie; favorendo il progresso scientifico e l’assistenza attraverso reti di specialisti e incontri periodici”.
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Tra le tante sfide che affrontano le persone con neurofibromatosi e chi sta loro accanto, ce n’è una particolarmente ardua: il passaggio dall’età pediatrica all’età adulta. Infatti Salvo ci spiega che, come per tutte le patologie rare o croniche, “l’età della transizione è un momento della vita molto complesso, che rappresenta una vera sfida non solo a livello clinico ma anche familiare. In primo luogo, il paziente con la sua famiglia si trova proiettato da un ambiente pediatrico, che frequenta da molti anni, a un ambiente nuovo dove operano persone che non conosce”.
Le differenze tra l’ambiente pediatrico e quello dove si curano le persone adulte sono molte – continua Salvo – per esempio: “l’organizzazione della presa in carico pediatrica è fortemente collaborativa e partecipativa, quasi famigliare; l’ambiente che prende in carico l’adulto non è sempre così. Spesso il paziente si trova a dover cambiare sia medico, che struttura clinica. In alcuni casi, deve essere seguito presso centri diversi, in base alle diverse esigenze. E non sempre le strutture cui si rivolge fanno rete tra loro; ci sono liste di attesa differenti e un rapporto con i professionisti meno partecipato. Inoltre, non tutti i centri sono strutturati per gestire la transizione: solo pochi godono di strutture o organizzazioni che prevedano una continuità tra specialista pediatra e specialista adulto, che comunichino tra loro e approfondiscano insieme, per un certo periodo di tempo, il bisogno clinico del paziente, finché la presa in carico nel centro per gli adulti non diventa definitiva”.
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