Contenere l’ansia dei genitori, dare loro informazioni corrette e mirate e scoraggiare le ricerche ossessive online è uno dei compiti del medico e del centro che prende in cura il bambino con patologi rare. Ne abbiamo parlato con la Dottoressa May El Hachem, Responsabile di Struttura Complessa dell’Unità di Dermatologia, dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma
Dottoressa, come arrivano da voi le famiglie?
Solitamente i genitori allarmati dalla presenza delle macchie-caffellatte corrono dal dermatologo, magari dopo aver cercato notizie online. Anche se nell’immaginario collettivo le macchie caffellatte sono sempre collegate solo alla Neurofibromatosi, in realtà esistono altre malattie legate a queste manifestazioni cutanee. Quindi, la prima sfida davanti alla quale ci troviamo è contenere l’ansia dei genitori. Cerchiamo comunque di dare un’informazione rassicurante, anche se sappiamo che tante volte stiamo parlando di malattie importanti. Saper parlare con i genitori è importante perché sono loro che dovranno aiutarci ad accompagnare il bambino nel suo percorso.
Come viene attivato il percorso del paziente presso il vostro ospedale?
Dopo un primo incontro con il bambino e la famiglia, se le macchie sembrano suggerire la Neurofibromatosi, la presa in carico viene fatta dal reparto di Malattie Rare, o da quello di genetica. Il paziente viene inserito immediatamente nel Day Hospital, dove viene effettuata la visita oculistica, la visita neurologica e la visita ortopedica. Il coordinamento delle varie figure viene fatto dalla dottoressa Macchiaiolo e dalla dottoressa Capolino, che controllano i risultati degli esami e pianificano il percorso del paziente.
Quali sono le reazioni delle famiglie di fronte a questo tipo di organizzazione?
Io coordino altre malattie rare, anche più invalidanti della Neurofibromatosi. Però devo dire che le famiglie sono contentissime di questo tipo di organizzazione, perché non devono girare da un centro all’altro. Non devono andare un giorno dall’oculista, un giorno dall’ortopedico, un giorno dal dermatologo. Avere la vita facilitata e organizzata, a fronte di tutta la difficoltà del quotidiano, è già un grande aiuto. Quindi in genere sono molto contenti.
Voi vi interfacciate con le associazioni dei pazienti?
Sì, per le malattie di cui ci occupiamo. Ogni associazione è diversa da un’altra. Con alcune di loro ci interfacciamo anche con le Istituzioni. Per esempio, con la regione, per i pani terapeutici.
Dottoressa, ma lei come li vede queste famiglie? Ha visto un’evoluzione nel loro modo di approcciarsi alla malattia nel tempo?
Io adoro lavorare con le famiglie e ne vedo di tutti i tipi. Quindi vedo famiglie che si consolidano di fronte al problema e vedo famiglie che purtroppo si sono disgregate. Oggi c’è, per fortuna, molta informazione. Ma a volte non viene data in modo corretto. Per cui, tante volte, non essendo sufficiente l’incontro e il dialogo non si ha una visione corretta delle cose, né noi riusciamo a percepire cosa hanno realmente capito le famiglie dalle notizie che raccolgono tramite i diversi canali di comunicazione. Per questo, quello che faccio in genere con le famiglie, quando arriva da noi un neonato con malattia rara, è fare un incontro anche quotidiano e un po’ alla volta cerco di sollecitare le domande. In questo senso, temo che il web ci abbia creato un pregiudizio non indifferente. Io dico sempre di non fare ricerche su internet, ma di chiedere a noi clinici. Perché magari anche se le informazioni sul web sono corrette, non sono applicabili al caso di chi legge.
Secondo lei, come si possono inserire le associazioni pazienti in questo contesto?
Secondo me devono essere molto vicini ai centri di riferimento e collaborare con loro. Noi, con le associazioni, abbiamo scritto linee guida. L’associazione deve essere un link tra il clinico e il paziente e fare da elemento di continuità tra queste due realtà.
Valentina Maria Salvo