Il 24 maggio si è svolto ad Ancona il convegno 2024 A.N.F. “APPROCCI CHIRURGICI E TERAPEUTICI NELLA NEUROFIBROMATOSI TIPO 1” presso l’Auditorium Totti AOU delle Marche.
L’obiettivo del convegno è stato quello di aumentare la consapevolezza sulla neurofibromatosi, una malattia genetica rara. Abbiamo voluto creare un momento di discussione e di condivisione di conoscenze tra medici, pazienti e famiglie e affrontare insieme le ultime novità in termini di ricerca, trattamento e approccio chirurgico e terapeutico, promuovendo la collaborazione tra tutte le parti coinvolte nella gestione della malattia.
Di seguito riportiamo foto ed interviste di Valentina Salvo (Media Relation A.N.F.) ai responsabili scientifici che hanno preso la parola all’evento:
Dr.ssa Tortora
Responsabile SOSD Genetica Medica e Coordinamento Malattie Rare – AOU Ospedali Riuniti Ancona
Oggi si parla di più di neurofibromatosi?
Oggi si parla di più della neurofibromatosi rispetto al passato e questo è dovuto, in parte, a una miglior capacità diagnostica dei centri di riferimento e in parte alla sensibilizzazione promossa dall’Associazione dei pazienti. Penso che, in questa epoca, i media e i social network possano avere un ruolo determinante nel diffondere le informazioni e nel dare indicazioni ai pazienti e alle loro famiglie.
Quali prospettive intravede per il futuro?
Le prospettive sono promettenti, poiché la ricerca sta facendo dei passi significativi nell’ identificare delle molecole target da utilizzare in ambito terapeutico e questo potrebbe portare allo sviluppo di nuove terapie più efficaci. Inoltre, ovviamente, si sta lavorando molto per migliorare le strategie di diagnosi precoce, di gestione della sintomatologia e per offrire un supporto psicologico e sociale più adeguato a pazienti e famiglie.
Quanti pazienti sono seguiti presso il vostro servizio?
Presso il nostro servizio di Genetica Medica e Coordinamento Malattie Rare abbiamo circa 150 pazienti con neurofibromatosi di tipo 1- sia adulti che bambini- e la maggior parte di questi pazienti sono seguito nel tempo e continuativamente. Ricevono, negli anni, un monitoraggio clinico nelle visite di controllo che sono necessarie in base alla loro sintomatologia.
Quali sono le problematiche principali affrontate dalle famiglie?
Credo siano quelle legate alla prenotazione delle visite e degli esami strumentali di controllo da fare come follow up, negli anni. Sotto questo aspetto, nel nostro ospedale, stiamo cercando di organizzare un PDTA, ovvero un percorso diagnostico terapeutico assistenziale, che consenta un coordinamento efficace tra tutti gli specialisti coinvolti nella gestione clinica e nel trattamento delle neurofibromatosi. Questo, sia per una miglior gestione possibile da un punto di vista clinico e della dell’expertise dei medici coinvolti, sia anche da un punto di vista organizzativo e logistico, per i pazienti, per consentire una presa in carico più semplice. Speriamo di ottenere presto la realizzazione di questo percorso.
Prof. Roberto Trignani
Responsabile del Reparto di Neurochirurgia generale – A.O.U Ospedali Riuniti Ancona
Professore, nella sua presentazione ha parlato di masse che possono diventare maligne. Parliamo quindi di MPNST, tumori maligni delle guaine periferiche nervose. Negli ultimi anni, c’è stato un miglioramento nella gestione dei pazienti con neurofibromatosi e tumori maligni?
In questa tipologia di tumori, sicuramente la chirurgia rappresenta ancora il trattamento d’elezione e in questo caso, diciamo, la forza della modernità risiede nel combinare la presenza di un neurochirurgo con un chirurgo plastico. Quindi, in base alla sede anatomica della lesione tumorale è necessario mettere insieme tutte le competenze possibili, perché lo scopo in questo caso è cercare di essere il più radicale più possibile. Più sei esteso nella resezione, più raggiungi quel criterio di radicalità. Essere radicali, in una lesione delle guaine nervose, significa arrivare alla guarigione. Il problema è che, qualche volta, queste lesioni si trovano in sedi critiche: sono confinanti magari con strutture funzionali. Quindi la chirurgia deve cercare di essere il più possibile estesa nella resezione ma deve preservare le strutture sane. Allora, a quel punto, si deve mettere in campo anche un’arma chemioterapica, che completi il trattamento della patologia.
Oggi, i progressi nell’ambito dei chemioterapici si sono fatti, non solo su queste lesioni, ma anche su tumori intracranici e su alcuni tumori delle vie ottiche. Adesso ci sono delle cure chemioterapie che consentono di bloccare e far regredire la malattia.
Oggi si parla della protonterapia. Che tipo di prospettive ci sono?
La protonterapia sicuramente è un trattamento radiante. Rispetto alle metodiche diciamo che impiegano i raggi gamma, la forza della protonterapia è quella di utilizzare delle particelle pesanti e concentrare l’energia della radiazione in punti più limitati.
Nel contesto delle neurofibromatosi, questa terapia rappresenta un trattamento focale, che concentra un’azione terapeutica in un distretto confinato, rispettando le strutture adiacenti: ha maggiore forza di concentrare l’effetto delle radiazioni in un punto preciso, riducendo gli effetti collaterali. I
l problema della protonterapia, che potrebbe avere una applicazione molto più estesa di quella attuale, è che purtroppo c’è una limitazione di apparecchiature. In Italia esistono soltanto due centri: a Pavia, e a Trento e quindi, anche in questi centri, c’è un’estrema selezione dei casi da trattare.
Che tipo di prospettive, da un punto di vista chirurgico, lei vede per il futuro?
Il futuro lo vedo roseo grazie al network tra specialisti. Credo che ogni specialista sarà sempre più collegato agli altri e questo consentirà di potenziare il risultato dei trattamenti. Io vedo in questo la possibilità di crescere perché, quando unisci più competenze, 1+1 non fa 2 ma fa 2,2… magari anche 10. Poi ogni specialità naturalmente progredisce. La chirurgia ha fatto enormi progressi in questi anni, da quando è diventata microchirurgia. Con la presenza anche dei monitoraggi intraoperatori, noi abbiamo la possibilità, con i pazienti addormentati, di fare un monitoraggio delle vie nervose e quindi, mentre operi, hai la possibilità di verificare in tempo reale come sta andando l’intervento. In più, realizziamo interventi con il paziente sveglio e in questo centro abbiamo una grandissima esperienza di chirurgia di questo tipo, anche sul tumore al cervello. Questo consente di essere ancora più aggressivi nella resezione, perché in tempo reale hai sempre la percezione dello stato clinico del paziente. Quindi, se il paziente dorme, magari per non fare un danno ti fermi prima. Ma se il paziente è sveglio, oppure hai dei monitoraggi che ti dicono che la struttura su cui stai operando è integra, vai avanti perché hai un ritorno immediato della struttura sana.
Dott. Davide Talevi
Specialista in Chir. Plastica e Ricostruttiva, S.O.D Clinica di Chirurgia Plastica e Ricostruttiva – A.O.U Ospedali Riuniti Ancona
Ci parla dell’argomento della sua relazione?
Oggi parlerò alla platea del ruolo del chirurgo plastico nel contesto di quella che è la neurofibromatosi 1. Non andrò a illustrare le metodologie chirurgiche, ma cercherò di far capire che esiste un ruolo attivo del chirurgo plastico, che può regalare un po’ di speranza ai soggetti che mostrano le manifestazioni cutanee di questa malattia e che si sentono un po’insicuri della propria forma fisica. Parlerò di quelle lesioni che creano disagi, disturbi funzionali, per i quali possono esistere delle soluzioni.
Di cosa parliamo esattamente?
Quando parliamo di chirurgia plastica, parliamo di asportazione di quelli che sono i neurofibromi cutanei più o meno diffusi o quelli plessiformi, che sono un po’ più invalidanti e che coinvolgono più strutture. La durata del trattamento è a lungo termine: è vero che sono descritti casi di recidive o complicanze, però l’idea è quella di sostituire un disturbo dovuto al neurofibroma con una piccola cicatrice, che lascia comunque il segno del nostro passaggio, ma che crea un miglioramento fisico e anche morale nei pazienti che subiscono il trattamento.
Che tipo di difficoltà lei ritrova nella gestione di questi pazienti?
Per fortuna la malattia non è troppo rappresentata a livello della popolazione. I casi che arrivano alla nostra attenzione sono quelli che hanno anche delle manifestazioni dolorose. Le difficoltà non ci sono perché noi incontriamo pazienti coraggiosi, dei veri e propri leoni che sono disposti a lottare insieme a noi per risolvere almeno in parte il problema che stanno vivendo.
Nella sua branca medica ci sono stati dei miglioramenti nel tempo? Che tipo di avanzamenti ha sperimentato?
Non ci sono novità clamorose, che possano promettere un futuro più radioso e sereno. Le tecniche tradizionali vengono applicate e poi personalizzate in base al tipo di paziente, dalla semplice esportazione all’innesto all’espansione cutanea. Però diciamo che facciamo riferimento a tecniche ormai tradizionali cercando di raffinarlo un pochino, ma non c’è nulla di nuovo.
Che cosa fanno i pazienti dopo l’intervento?
Li perdiamo perché sono felici e non tornano, se non per farsi controllare i punti di sutura e il fatto che non li vediamo vuol dire che abbiamo raggiunto l’obiettivo.
Dott. Dario Seif Ali
Dirigente Medico SOSD Genetica Medica e Coordinamento malattie rare Ospedali Riuniti Ancona
Spesso leggiamo articoli che parlano di scoperte importantissime nell’ambito genetico, delle forbici genetiche, alla Car-T fino a tecniche che potrebbero servire per incollare il DNA. Ma qual è la verità? A che punto siamo?
Per la neurofibromatosi, sono attualmente in corso diversi trial su questo tipo di tecnologie. In realtà non tutte le tecnologie sono al momento in corso di studio, perché ciascuna tecnologia ha il suo ambito di applicazione. Per altre patologie rare, in realtà, già sono inutili. Le prospettive per la neurofibromatosi 1 ci sono. Ci sono tanti studi in corso. Da un punto di vista teorico, i modelli cellulari già hanno dato dei risultati promettenti. Il passaggio successivo è quello di una sperimentazione su esseri viventi, quindi gli animali e poi sull’uomo. Non è un percorso semplice, richiede sicuramente molto tempo, però ci sono diversi scienziati che stanno studiando esattamente questa cosa.
Si possono fare delle previsioni?
In questo momento è difficile fare delle previsioni in senso assoluto, però l’interesse c’è. E già questa è una cosa molto importante per una malattia rara. Attualmente, in Italia, il trial più importante che c’è non è tanto legato alla terapia genica o a correzioni da un punto di vista molecolare diretto, quanto più alle terapie farmacologiche.
La neurofibromatosi viene riscontrata con una semplice amniocentesi?
L’amniocentesi di per sé è una metodica: si fa un prelievo di liquido amniotico, si cercano le cellule del feto per fare analisi. Per fare una diagnosi di NF1, nel caso vi sia una familiarità, è necessario conoscere l’alterazione molecolare da ricercare. Il lato positivo è che, nella maggior parte dei pazienti, si riesce a trovare facilmente.
Dott. Umberto Maria Ripani
Responsabile SOS Medicina del Dolore Ospedali Riuniti di Ancona
Dottore, la neurofibromatosi è una patologia che spesso pone il paziente a gestire sindromi dolorose, intorpidimento o effetti da compressione. Come gestite i pazienti?
Qui ad Ancona abbiamo, con la nostra direzione, una collaborazione fattiva nel seguire questi pazienti che hanno bisogno del controllo del dolore. Ovviamente, tutti i tipi di dolore hanno ragione di essere trattati nel miglior modo e soprattutto con la maggiore rapidità possibile, ma abbiamo deciso, nella struttura di Torrette, di dare la precedenza al dolore oncologico. Con questo voglio dire che tutti i pazienti vengono seguiti anche per il dolore muscolo scheletrico con tempistiche di assoluto rispetto, ma abbiamo dato delle priorità.
Che tipo di farmaci ci sono adesso per la gestione del dolore? C’è stato uno sviluppo nel tempo?
Sicuramente, il panorama farmacologico negli ultimi vent’anni è fortemente migliorato. In linea di massima, quello che noi cerchiamo di tramandare ai nostri colleghi più giovani è che tutti i farmaci che vengono coinvolti nel dolore ottundono la trasmissione dell’impulso nervoso. Laddove un farmaco riduce il dolore, riduce la funzionalità. Nella fattispecie, i farmaci per il dolore possono ridurre la concentrazione, possono dare disturbi visivi, possono sedare, possono ridurre la forza muscolare, possono ridurre la coordinazione. Sono dei farmaci che rispetto a trent’anni fa, dove l’Italia era il fanalino di coda del mondo, sono estremamente migliorati. Al giorno d’oggi, ci sono molte più molecole, ma queste molecole devono essere conosciute e studiate dai medici. Devono essere valutate, in termini di esiti sul paziente, per ridurre il più possibile la collateralità che comunque c’è.
Che tipo di prospettive future vede nella gestione di questa patologia e nella gestione di questi pazienti?
Per questo tipo di pazienti, ci siamo ricavati un nostro spazio, ma non possiamo fare di più perché purtroppo la neurofibromatosi è una patologia che ha il suo excursus dal punto di vista fisiopatologico. Noi non possiamo modificarlo. Come medicina del dolore interveniamo molto più spesso sul sintomo del dolore e molto meno spesso sulla riduzione del danno d’organo, che invece è quello che vuole fare la medicina del dolore moderna. Guardiamo per esempio le condropatia, l’artrosi delle articolazioni: adesso abbiamo delle tecniche di medicina rigenerativa che ti fanno letteralmente tornare indietro nel tempo. Purtroppo, nella neurofibromatosi non si può fare questa cosa, perlomeno non adesso. Però sicuramente si può ottimizzare la terapia farmacologica, ovvero il controllo del dolore.
Dott.ssa Paola Coccia
Direttore della SOsD Oncoematologia Pediatrica Ospedale Salesi, Ancona
Dottoressa, con l’arrivo del Selumetinib è iniziato un grande cambiamento per i pazienti. Ce ne vuole parlare?
Sicuramente, avere questo farmaco, che ha dimostrato risultati sia in termini di efficacia e quindi di riduzione volumetrica che in termini di riduzione delle sintomatologie associate, è una grande prospettiva per gli oncologi. Prima si gestivano i sintomi, mentre adesso si può curare la malattia. Questo passaggio dà grandi speranze e prospettive di una qualità della vita sicuramente migliore.
I bambini che seguono questa terapia sono sottoposti a controlli molto frequenti?
La frequenza dei controlli dipende dalla tollerabilità del farmaco. Un bambino che non ha grandi effetti collaterali può essere valutato in un regime ambulatoriale, una volta al mese. Ovviamente in presenza di effetti collaterali, c’è bisogno di un monitoraggio più intensivo.
Quali sono gli effetti collaterali che possono essere presenti?
Quelli pubblicati in letteratura e osservati anche nella nostra esperienza sono soprattutto di grado lieve, a livello del tratto gastrointestinale: nausea, vomito, diarrea. Oppure, a livello cutaneo: rush, manifestazioni acneiche. Sono effetti collaterali assolutamente gestibili.
Al di là del farmaco, come avviene presso il vostro centro la gestione dei pazienti?
La sorveglianza oncologica nel paziente affetto da neuofibromatosi è una cosa assolutamente raccomandata. Sappiamo che vi è un rischio aumentato di sviluppare tumori rispetto alla popolazione generale: questo vuol dire dover fare dei controlli periodici. Non significa necessariamente fare una risonanza encefalo all’anno, anzi, al di là dei primi anni di vita, l’approfondimento va fatto solo in caso di una sintomatologia. Bisogna però seguire un percorso di prevenzione.
Come vede il futuro di questa patologia?
Io vedo un futuro con una terapia target. Il passo successivo probabilmente sarà gestire le problematiche che coinvolgono le vie ottiche. Potremo sicuramente migliorare la qualità della vita anche dei pazienti con patologia del nervo ottico.